lunedì 12 gennaio 2015

Cristina Annino recensisce "Una per mille"

Il doppio Volo



Uno sdoppiamento di personalità implica due verbi, due stati, due tipi di pensiero e via via crescendo, due persone. Qualunque cosa si raddoppi, metaforicamente, non può essere concepita ferma, crea un movimento di volume che prende il volo o casca, ma sempre da un punto basso o alto di vuoto.
Cristina Bove, dai suoi 18 anni in poi o forse da sempre, si è costantemente sentita nel vuoto e, per i motivi personali che sappiamo, è riuscita a fare di questo vuoto, un suo ambiente mobile. Da qui alla scrittura, il passo è immediato. Lei è un’artista e ha saputo rendere col suo romanzo, un concreto Dono tangibile, vissuto anche con canoni di normalità che allora assumono i segni di un paradosso in terra, altrimenti detto miracolo.
Non dobbiamo avere paura delle definizioni, come Bove non ha mai avuto paura della vita e della non vita. In lei non c’è mai stata paura, perché la sospensione reale in cui si trovava la poneva dentro e fuori, sopra e sotto qualsiasi stabilità morale cercata dai più e ritenuta indispensabile allo svolgimento di un’esistenza umana. Davvero non è detto – qui sta l’insegnamento che ci dà, il dito indicativo che segnala verbi, stati nominali alternativi. E noi dobbiamo non solo immaginarli, ma crederci.
Tutto il romanzo autobiografico è trascinato da quel volo, senza che Bove esprima giudizi su di sé, bensì ci sono tante riflessioni sul mondo, sui pensieri che formano un certo costume morale, sulla storia collettiva. È un romanzo soprattutto di pensiero direi, perché ci insegna come possa diventare pensiero positivo o educazione della mente, il non temere una convivenza nostra con l’indicibile altro che, ci piaccia o no, sempre ci abita e spesso ci determina.

Lei non ha mai temuto il viaggio verso la fine e il ritorno verso il principio, come fosse una speciale facoltà datale dalla natura. Si è alti, si è bassi, si è simili, si è anche talmente differenti! La natura che fa di noi corpi stabili, gioca dei cambiamenti a volte fortunatamente solo in chi può sopportarli. E lei ha sopportato tutto senza stupore, senza recriminazioni, accettando ciò che poteva depositare in terra (figli, matrimonio) nei momenti in cui il volo radeva la vita normale, poi alzandosi di nuovo in volo o precipitando. Non importa se per altra malattia, disastri, lei era su quella spira insondabile e non ha mai provato paura.
La paura, io credo, deriva dal pensare che fuori da una linea ferma o retta esista il male come differenza inconoscibile, ma la natura stavolta benigna con lei, le ha dato le coordinate di volo, l’intelletto per capire e adeguarsi. Le ha perciò tolto paura.

Romanzo estremamente originale che riproduce con fedeltà semplice e ricca, quella sua “diversità” rispetto alla vita degli uomini, quello scandirsi con naturalezza, l’accettarsi perché così è voluto chissà dove e lei è stata solo l’occasione fisica per concretare un pensiero forse divino, forse solo naturale, forse anche unico, ma comunque importante per farci riflettere sul fatto che non esistono differenze, qui nella terra e altrove, bensì situazioni di una tale complessità intelligente che vanno oltre quell’intelligenza appunto generica che è l’intelletto umano. Oppure l’ordinaria volontà di ammettere che ogni dilatazione di senso è sottrazione di canone, di ordine, e non di “sapere”.
Ne derivano allora due fatti, uno vitale, autobiografico, e uno letterario. Diversità di vita che porta a diversità di struttura narrativa, e che in questo romanzo è fattore emblematico. Ci sarebbe un'ulteriore disamina da fare che forse esula dalla precisa lettura del testo, il quale rende traghettabile la prima grazie alla propria maggiore chiarezza. Basterà allora dire come qui, nel libro di Cristina Bove, è evidente l’intreccio dei due motori, formale e di esistenza, verità e riproduzione stilistica, e quanto misero sia il giudizio di chi perde di vista la somma dei due.



Cristina Annino






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